Oggigiorno, un autore con una storia e tanta passione può sicuramente riuscire a fare un film. E, a differenza di alcuni anni fa, soldi o creatività non sono più un limite assoluto. Eppure, nonostante questo movimento sempre crescente, molti addetti ai lavori si sforzano di far finta che questo tipo di cinema non esista. Perché?
Perché il cinema micro e no-budget non può esistere! (O almeno, questo è quello che pensano loro). Le perplessità infatti sono sempre le solite:
- Che contratti avete firmato?
- Avete mantenuto i minimi sindacali e la troupe minima?
- Avete notificato l’inizio lavorazione?
- Dov’è l’accordo per la distribuzione?
- E il visto censura?
Belle domande. Avrebbero dovuto farle a Roger Corman!
Il fatto è molto semplice: al pubblico non interessa nulla se un film è stato fatto con 1.000.000 di euro o 100, se c’era la troupe minima o se erano in 5 sul set.
La disfatta generale della distribuzione tradizionale associata all’esplosione del VOD tipo iTunes, Amazon o Netflix (in parte) ha livellato i parametri. La differenza tra prodotti non sta più solo ed esclusivamente nel budget, ma nell’idea che riesce a farsi notare di più. Pensateci bene.
Rientrare di un film da 2 milioni richiede MOLTE vendite.
Facendo due calcoli a braccio, per recuperare 2 milioni, un autore dovrebbe vendere (indicativamente) 200,000 download a €10 ciascuno su qualche piattaforma. Oltrettutto, questo sarebbe solo un “ricavo” dato che il 40% (circa) andrebbe alla piattaforma stessa. Questo significherebbe dover aggiungere altri 200,000 downloads per ripagare gli investitori.
400,000 VOD downloads x €10 = €4,000,000 meno €2,000,000 di spese distributive VOD = €2,000,000 (lordi)
Nel frattempo, l’autore micro dovrebbe vendere “solo” 20,000 downloads per rientrare dei suoi 100K spesi.
Anche se nessuno vuole far film a due lire, è vero che ci sono tantissimi autori che pensano di poter continuare a produrre cose in perdita aspettandosi che i capitali seguitino ad arrivare nonostante tutto.
A differenza di alcuni anni fa, un autore/produttore non può più approcciarsi ad un investitore con la vecchia scusa che “Il cinema è in investimento rischioso – se saremo fortunati entreremo in un festival e qualcuno ci noterà.”
Ora esistono sistemi di distribuzione abbastanza trasparenti che impediscono un approccio poco etico di ricerca fondi: oggi il duro lavoro può pagare. Magari servirà del tempo, ma è possibile fare dei piani di comunicazione. Per questo il cinema micro ha un senso.
Come farete a tirar su abbastanza denaro da poter pagare attori e maestranze E ripagare i vostri investitori?
Per sopravvivere nella giungla delle complicazioni cinematografiche dovrete cambiare completamente strategia e modo di pensare.
Invece di preparare un unico filmone galattico strabiliante è meglio concentrarsi su una libreria di contenuti che ci permettano di creare un percorso artistico e specifico apprezzato dal NOSTRO PUBBLICO. Insomma, l’intento è quello di crearci una email list vasta e precisa.
Step 1: Cercate 10 collaboratori che condividano il vostro spirito e il vero motivo per cui fate le cose. Leggete Pochi soldi, molti amici: il film nobudget. Mettete su un gruppo di lavoro.
Step 2: Scrivete un business plan, ma invece di concentrarvi su un solo film provate ad elaborare un percorso di 3-5 prodotti.
Step 3: NON DIMENTICATEVI MAI DI METTERE A BUDGET LE SPESE DI COMUNICAZIONE E MARKETING. Per fare questo, analizzate il budget dei vostri film al contrario. Iniziate con il chiedervi: “Quante unità devo vendere per rientrare dell’investimento?”
Step 4: Non serve avere sempre ragione, basta una volta sola. Quando un progetto venderà, avrete vinto tutti e con il tempo avrete creato una struttura produttiva con i piedi per terra invece che un singolo film, magari finito in un cassetto. Se ci pensate bene, esistono molti ragazzi che investono soldi per mettere in piedi una casa di produzione video magari per fare piccole pubblicità, corporate, e cose di quel genere. Sono pochi invece quelli che investono la stessa cifra per produrre un film che abbia un concetto di sostenibilità e vendibilità (tipo per esempio in lingua inglese e facendo un test con qualche Sales Agent). E si parla di persone che magari hanno comprato attrezzature per 40 o 50 mila euro.
È chiaro che non è cosa facile, niente lo è.
La mia opinione è che creare un modello di sviluppo sostenibile non solo è fondamentale ma anche possibile: è inutile continuare a far finta che questo substrato produttivo non esista quando poi nella realtà dei fatti i mercati sono inondati di prodotti piccolissimi che in alcuni casi sono anche di ottima qualità.
I tempi stanno cambiando ed è meglio farsene una ragione.
Figuratevi che anche la Biennale College di Venezia non accetta proposte produttive oltre i 150 mila euro. Con spese di marketing incluse!
Si può anche pensare di ignorare il movimento e probabilmente questa tendenza continuerà per qualche altro anno ancora. Ma già adesso si sta assistendo all’intrattenimento a basso costo, allo streaming e all’on-demand con buona pace delle produzioni gigantesche alla Marvel, uniche superstiti di un approccio produttivo/distributivo ormai economicamente inflazionato e destinato a cambiare velocemente.
La domanda quindi è: continuerete a far finta che il cinema micro non esista nel tentativo di entrare in un circuito “ufficiale” destinato a cambiare? O entrerete a far parte di questo fantastico movimento con l’idea di migliorarne la qualità e la diffusione per aumentarne la profittabilità nel lungo periodo?
A voi l’ardua scelta.
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