- Ci puoi presentare il tuo progetto? Cos’è il Varco?
Il Varco è una casa di produzione e casa editrice senza scopo di lucro che ho fondato assieme a Marco Crispano nel 2014, a Roma. Lavoriamo nella produzione indipendente di cortometraggi, film e libri di autori esordienti e giovani e nell’organizzazione di eventi festivalieri come il nostro Festival del Cortometraggio. Tutti i proventi delle nostre attività vengono reinvestiti all’interno della casa di produzione e nel finanziamento di cortometraggi, libri e opere di autori che non trovano spazio all’interno dell’industria culturale. Seguiamo gli autori dalla sinossi allo sviluppo della sceneggiatura, li accompagnamo nel finanziamento dei loro lavori, creiamo le squadre di produzione e post-produzione e poi lavoriamo assieme sulla diffusione e distribuzione dei lavori. Tutto preservando le intenzioni, l’identità artistica e l’intergrità delle idee di partenza. Dopo la realizzazione del proprio film o libro, gli autori lavorano, si formano e contribuiscono ai progetti dei colleghi o dell’associazione, innescando un meccanismo di collaborazione che fino ad ora ci ha portato a produrre dieci cortometraggi, un lungometraggio, quattro libri e più di dieci eventi.
- Cosa ti ha spinto ad intraprendere la realizzazione del progetto?
Il nucleo della nostra casa di produzione proviene da Pescara, un ambiente molto infertile e immaturo nella produzione editoriale e cinematografica. Arrivati a Roma abbiamo subito avuto la percezione che l’industria culturale della città fosse un ambiente settario, competitivo e iniquo soprattutto tra i più giovani, tra quelli che devono ancora lottare per affermarsi e per produrre le proprie idee. Invece della ricerca di una assidua e fruttuosa collaborazione, si riscontra sempre più una corsa al successo che si accompagna da una naturale diffidenza verso le altre persone che fanno il proprio mestiere. Esiste una percezione troppo mondana del mestiere del regista e dell’autore, troppo protesa verso l’idolatria, verso la ricerca di un’inserimento più veloce possibile nel mondo dello spettacolo farcita da una serie di meccanismi feticisti che alla fine vanno a ledere e compromettere i contenuti artistici e le aspirazioni umane delle attività culturali. Da qui è nata prima una filosofia di lavoro, poi un’etica professionale, poi la casa di produzione.
- Quanto tempo fa hai cominciato a ideare il progetto e dopo quanto hai cominciato la produzione?
Dopo una prima fase di assestamento – in cui il progetto era un blog online di arte e critica che raggiunse molto rapidamente tre milioni di visualizzazioni e decine di attivisti – abbiamo scelto le persone più adatte e abbiamo iniziato l’attività produttiva. I primi esperimenti importanti – come “Memorie di un viaggiatore” di A. Romagnoli con Alessandro Haber – sono cominciati nel 2015, poco più di un anno dopo la fondazione del primo gruppo. Poi nel 2017 Il Varco si è costituito giuridicamente e fiscalmente e abbiamo iniziato una produzione più assidua e professionale.
- In che modo hai cercato/trovato risorse economiche e collaboratori per produrre il tuo lavoro?
In una prima fase Il Varco è stato interamente finanziato attraverso piccoli eventi culturali, donazioni, raccolte fondi e autofinanziamenti. Molti di noi – me compreso – lavoravano e investivano tutti i propri guadagni nelle attività del gruppo. Negli anni poi abbiamo progressivamente abbandonato altre attività e ci siamo concentrati sulla casa di produzione, che adesso ha una certa autonomia economica grazie soprattutto agli eventi e agli sponsor privati che li finanziano.
- Quali sono i problemi progettuali che, secondo te, ti hanno impedito di trovare le risorse di cui avevi bisogno?
All’interno delle attività culturali reperire fondi richiede un doppio lavoro. Per acquisire credibilità c’è bisogno di fondi e per acquisire fondi c’è bisogno di credibilità. Quello che manca in Italia nelle imprese artistiche è la cultura aziendale ed economica. Anche la più pura e disinteressata opera d’arte oggi viene irrimediabilmente coinvolta all’interno di un mercato che non può che sottostare a delle leggi sociali ed economiche. Bisogna studiarle e conoscerle se si vuole sopravvivere.
- Come hai creato la tua troupe? Se non erano amici, in che modo hai trovato e coinvolto gli estranei? Come li hai convinti sulla bontà del tuo progetto?
Il Varco funziona perché al suo interno non esistono privilegiati. Chiunque decide di collaborare può realizzare fin dal primo giorno i suoi progetti, inserendoli nel calendario della produzione. L’inclusività del nostro lavoro è massima, anzi, spesso siamo noi stessi a cercare nuovi autori e a proporgli una produzione. Siamo gli unici in tutta Italia a farlo professionalmente. Spesso, infatti, incontriamo nelle persone con cui veniamo a contatto una diffidenza e una sfiducia sorprendente. Come se non potessero esistere dei principi di generosità e di collaborazione all’interno del nostro settore
- Qual è l’errore n.1 che pensi di aver commesso durante l’intero processo produttivo e che oggi non ricommetteresti più?
L’errore che un artista – e ancor più di lui un produttore – non deve mai fare è quello di pensare di poter dettare le leggi del gusto. Il mondo in cui viviamo va capito, sviscerato e riproposto seguendo stili, linguaggi e canoni che hanno come destinatari sempre una qualche forma di comunità e mai la propria vanità personale. Con questo non dico che l’artista debba sempre produrre per la massa, anzi. Ma deve avere ben chiaro chi è il destinatario delle sue opere. A volte per un autore il destinatario è una nicchia molto ristretta. Quando si ha il coraggio di produrre opere del genere poi non bisogna proporle al grande pubblico e pretendere che le accetti perché si sprecano risorse e si cade in una frustrazione pericolosa. Parimenti, chi lavora su temi popolari o semplici deve avere ben chiaro il fatto che artisti e critici più speculativi lo ignoreranno.
- Qual è il pubblico dei tuoi eventi e dei tuoi film? Come lo hai cercato? Come lo stai coinvolgendo o lo hai coinvolto?
Gli eventi della nostra associazione hanno un pubblico molto maturo, sicuramente in media sopra ai quarant’anni. Ci risulta molto difficile coinvolgere altri ragazzi perché spesso nei nostri eventi manca quella patina mondana e glamour che attrae un pubblico più alla ricerca di un accadimento sociale. Solitamente chi viene al nostro Festival o alle nostre rassegne poi però torna sempre. A Pescara, dove svolgiamo la maggior parte dell’attività di proiezione, abbiamo parecchi habitué. Siamo partiti da amici e parenti e amici e parenti dei nostri sponsor. Con un po’ di passaparola abbiamo costruito un pubblico dignitosamente numeroso che apprezza molto quello che facciamo.
- Quali sono le aspettative distributive che ti sei posto? Come hai programmato di ottenerle?
Sebbene possiamo dirci molto soddisfatti del pubblico che ci segue – i nostri social contano più di trentacinquemila follower in tutto il network – e che frequenta i nostri eventi, quello che ci manca è un riconoscimento importante da parte del sistema preesistente. Parlo di grandi festival o di manifestazioni riconosciute internazionalmente. Stiamo producendo nuovi film con una squadra rinnovata e con più risorse che in precedenza. Speriamo di ottenere qualche riconoscimento con queste nuove opere.
- Hai negoziato con Sales Agents o Distributori? Se sì, puoi raccontarci il tuo approccio e la tua esperienza diretta?
Operando principalmente con i cortometraggi, devo dire che bisogna stare molto attenti ai distributori e alla distribuzione. L’autovalutazione del proprio lavoro in maniera critica e oggettiva – tenendone presenti limiti e difetti – è un passaggio fondamentale del percorso di un autore. Bisogna recarsi da un distributore soltanto dopo un’attenta analisi del proprio lavoro, altrimenti non ci si può rendere conto se è il regista a fare un favore al distributore – pagando un servizio che avrebbe potuto fare benissimo da solo – oppure il distributore a voler valorizzare il regista. Un vero distributore ha un catalogo selezionato, ama, comprende e conosce i punti di forza dei propri film, è molto selettivo e lavora di concerto col regista perché entrambi traggano vantaggio dalla collaborazione. In ogni caso bisogna stare attenti perché la distribuzione di cortometraggi, a differenza di quella dei lunghi, per il regista è un’operazione a perdere nel novantanove percento dei casi. Un sistema che non funziona e che sviluppa meccanismi pericolosi, perché oggi è molto semplice giocare con le ambizioni e con i sogni di ragazzi giovani che non aspettano altro che realizzarsi. Gli si può vendere praticamente qualsiasi cosa. C’è bisogno di operatori con una forte etica in questo settore, altrimenti è finita.
- Puoi nominare cinque consigli “molto pratici”, e per te fondamentali, da dare a chi sta per produrre un piccolo film?
- Avere molta pazienza. Per fare un ottimo lavoro con la metà delle risorse necessarie bisogna metterci il doppio del tempo.
- Considerare l’idea nella propria mente e lavorare finché non è realizzata alla perfezione, senza mai accontentarsi, anche se dovesse significare lavorare per anni.
- Bisogna creare prima una squadra, poi un posto e poi si può fare dell’arte. Il cinema non si fa da soli.
- Il cinema senza la letteratura e la storia dell’arte si chiama televisione. Chi fa televisione sparisce il secondo dopo che sono terminati i titoli di coda.
- Chi vuole fare questo mestiere non deve avere piani B nella vita. O tutto o niente.
Commenti